IL CARDINAL PULJIC A LUGANO
DUE GIORNI DA NON DIMENTICARE

Di Vera Podpecan



UN PEZZO DI CIELO CI È PASSATO ACCANTO E NOI ... FORSE, NON CE NE SIAMO NEANCHE ACCORTI

Nel mese di gennaio la Curia mi informava che in marzo sarebbe venuto a passare due giorni da noi il Cardinale Puljic, arcivescovo di Sarajevo. Ho pensato subito che questo sarebbe stato un grande avvenimento, sia per i ticinesi, sia per i cattolici della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina che vivono e lavorano da noi. Un grande evento, sia per il suo grado nella gerarchia della Chiesa, sia per il fatto che ci avrebbe portato un a testimonianza di prima mano, visto che in questi anni di guerra ha vissuto in Bosnia ed Erzegovina, in particolare a Sarajevo, una città che ha vissuto non solo il lungo incubo dei bombardamenti, ma anche l'assedio dei militari serbi. È difficile descrivere il mio stato di preoccupazione e dì gioia nel sapere che per tutto il tempo della sua permanenza gli sarei stata accanto: gioia perché non capita tutti i giorni di poter condividere la propria vita, anche solo per qualche giorno, con una persona così importante; preoccupazione per l'esito della sua visita. Devo dire subito che ho trovato un grande appoggio dalla direzione e dai colleghi di Caritas e dalla signora Maria Kraljic, ma soprattutto dalla semplicità e cordialità del cardinale. Poi finalmente il momento è arrivato e ha avuto una vasta eco sia da parte dei giornali, sia della nostra trasmissione Caritas Insieme. Qualche giorno dopo la partenza del porporato, parlando con alcuni conoscenti e amici, mi sono sentita chiedere quale fosse la situazione in Bosnia ed Erzegovina e in particolare a Sarajevo. Immaginate il mio stupore e la perplessità, visto che era ancora fresco ed emozionante per me il ricordo della presenza dell'arcivescovo della città simbolo di una guerra così drammatica e così vicina. La macchina dell'informazione è terribile, macina tutto con rapidità e in poco tempo di ogni notizia, importante o futile, grave o gioiosa non resta che polvere. Ci si ricorda dei divieti del Papa per questa o quella questione morale, ma di un testimone della Chiesa viva che è pronta a morire per stare accanto all'uomo schiacciato dalla violenza ci si dimentica in fretta, forse perché non fa rumore e non suona la tromba davanti a sé. Noi parliamo di ciò di cui abbiamo esperienza e questa, per me, è stata una esperienza di paradiso. Per questo la riporto ancora una volta qui, sulla rivista di Caritas, perché qualcun altro possa avere ancora un'occasione per non dimenticare ...


LA GUERRA IN BOSNIA ED ERZEGOVINA: NON CIVILE O RELIGIOSA, MA INVASIONE DA PARTE DI UN ALTRO STATO

... "La guerra non si é creata in Bosnia ed Erzegovina ma é "venuta da fuori". Questa non é una guerra religiosa, ma una guerra politica con una chiara tendenza ad occupare i territori e pulizia etnica per poter creare uno stato etnicamente pulito. Una politica così é stata creata a Belgrado ed ha fatto reagire gli altri popoli".


I CATTOLICI DOV'ERANO?

... "Spesso noi cattolici ci sentiamo esclusi in Bosnia ed Erzegovina, sia dalla politica interna, sia dalla politica mondiale. Anche se è difficile parlare contro ogni ingiustizia, noi abbiamo in continuazione alzato la voce contro l'ingiustizia. Abbiamo con difficoltà appreso il fatto che i paesi islamici si preoccupassero per i mussulmani e i paesi ortodossi per i loro fratelli di fede, mentre invece, i cattolici dell'Occidente, ci sembrava, qualche volta, che non si accorgessero della nostra presenza. Ma di questo fatto non siamo stati meravigliati, pensando agli uomini politici. Ciò che ci è mancata è la solidarietà di tutta la Chiesa Cattolica. Si deve escludere da questa impressione il Santo Padre, che contro ogni speranza ha levato la sua voce in nostra difesa, o meglio, in difesa dei diritti di tutti gli oppressi dalla violenza ingiusta."


LE CARTE NON FANNO LA PACE

... "Per avere la pace è necessario fare tante cose. Prima di tutto bisogna fermare l'odio. Gli accordi di Dayton hanno fermato solo le armi, ma l'odio è ancora alimentato dai mas media, specialmente locali, che sono nelle mani dell'autorità. Inoltre si deve creare un meccanismo politico adeguato ad assicurare l'uguaglianza a tutti coloro che abitano questa terra. In terzo luogo vi è un grande lavoro di educazione dei giovani, perché possano imparare a rispettarsi a vicenda, pur conservando la loro identità culturale e religiosa. Questo deve realizzarsi in tutti i campi, economia, scuola, esercito, polizia, ecc. solo allora, quando le identità saranno rispettate e favorite come una ricchezza per tutti, si potrà parlare di costruzione della pace. La guerra ha distrutto le case e il mercato economico, ma soprattutto ha indebolito le coscienze, lasciando un vuoto morale spaventoso. È necessario ripartire dalla ricostruzione dell'uomo intero, della famiglia, della società, per poter tradurre in fatti concreti le firme sulle carte di Dayton ..."


NON RICETTE, MA SOSTEGNO CONCRETO

... "Per una simile collaborazione non c'è una ricetta, é necessaria la buona volontà e un sincero impegno di tutti. Questo deve uscire fuori dall'ambiente concreto in cui viviamo. Questo non lo possono fare gli altri al nostro posto, anche se possono aiutarci. Considerato infatti che ogni ambiente ha una sua specificità, non pretendiamo che gli altri ci sostituiscano, perché sappiamo che spetta a noi di imparare a crescere insieme, puntando soprattutto su ciò che ci unisce piuttosto che su quanto ci divide.


FATTI NON PAROLE

... "Cerchiamo di aiutare le persone perché possano iniziare un'attività indipendente, per esempio procurando semi, apparecchiature agricole e animali, per la rinascita dell'attività agricola. Cerchiamo di aiutare i bambini che la guerra ha reso orfani e gli anziani, che non hanno più sostegno dai figli. A Sarajevo la Caritas ha aperto una cucina per i poveri e non solo per quelli che possono venire a mangiare sul posto ma portando anche nelle case i pasti per le persone non autosufficienti. Abbiamo iniziato ad esaminare la possibilità di costruzione di un ospedale a Sarajevo, che dovrebbe servire tutti, senza distinzione di appartenenza nazionale e religiosa. Vicino all'ospedale si dovrebbe costruire la scuola infermieristica, così da poter formare una nuova generazione di professionisti nel settore sanitario ...".

"... Questo è un lavoro lungo e difficile, ma necessario. Perciò, la solidarietà e la comunione della Chiesa intera e degli uomini di buona volontà è ancora un elemento importante, perché le nostre speranze non naufraghino nel mare delle difficoltà e dell'odio ...".